ritiro sociale

Quello degli Hikikomori è un fenomeno nato negli anni 90 del secolo scorso in Giappone, la parola è di origine nipponica e deriva dalla fusione di due termini giapponesi: “hiku” che letteralmente significa “tirare indietro” e “komoru”, “ritirarsi”. Tale condizione implica il rifiuto da parte della persona di uscire dalla propria abitazione. Il soggetto decide di porre fine alla socialità per perseguire un agognato isolamento. Di questo nuovo disagio soltanto di recente si è cominciato a discutere in ambito accademico e giornalistico, esso non è concepito come una nuova categoria diagnostica, difatti non è presente come disturbo a sé stante nell’ultima edizione del DSM-5. È ancora in dibattito la questione su come considerarlo, se come un vero e proprio disturbo psichiatrico oppure un elevato problema legato alla socializzazione.

L’età di diffusione è compresa tra i 19 ed i 30 anni, i soggetti sono primariamente di sesso maschile, primogeniti. Stime verificate illustrano che soltanto il 10% del campione è caratterizzato da una componente femminile. Alcuni dati rilevano che il fenomeno includerebbe un numero di diffusione compreso tra 500.000 ed 1 milione, corrispondente a circa l’1% della popolazione giapponese. Negli ultimi vent’anni si è assistito ad un incremento sostanziale del fenomeno, pertanto nel 2003 il Ministero della Salute e delle Politiche Sociali del Giappone ha deciso di predisporre un’indagine che ha coinvolto molteplici centri psichiatrici del Paese stabilendo i seguenti parametri diagnostici per consentire, in maniera specifica, una corretta diagnosi differenziale tra il disturbo hikikomori ed altre psicopatologie: hikikomori non è una sindrome, la reclusione volontaria deve essere stata protratta per almeno 6 mesi, in contemporanea deve verificarsi il rifiuto di intraprendere percorsi scolastici o professionali, durante il corso della prima manifestazione del disturbo i sintomi non possono essere giustificati dalla presenza di altri disturbi mentali (quali, ad esempio, allucinazioni nel disturbo schizofrenico o l’accertamento di un disturbo evitante di personalità). Tali criteri di valutazione, tuttavia, non sono stati ancora presi in considerazione ufficialmente dalla comunità scientifica. Sia il DSM-IV-TR che il DSM-5 non comprendono il concetto di “hikikomori” fine a se stesso malgrado vi siano state proposte per l’inserimento; ad ogni modo nella nuova edizione del DSM sono state classificate diverse patologie vicine a questa condizione. Possono ritrovarsi nella tendenza “Hikikomori” sintomi quali l’agorafobia, costituita dal terrore di uscire fuori dalla propria abitazione; il disturbo d’ansia sociale, caratterizzato dalla paura di coinvolgimento nelle relazioni sociali; il disturbo depressivo maggiore e alcuni aspetti del disturbo ossessivo compulsivo tra cui la rupofobia (ossia la paura di essere contaminati dai germi uscendo di casa) che può favorire lo sviluppo del ritiro o la presenza di un disturbo di personalità. Tra i segni vi è inoltre una marcata antropofobia, intesa come angoscia morbosa determinata dalla presenza di una o più individui; in altri casi è stata rilevata una comorbidità con comportamenti patologici legati alla nuova forma di dipendenza citata nel DSM-5 come “Internet Addiction Disorder” ed un capovolgimento dei ritmi circadiani per cui gli individui hikikomori tendono a vivere durante la notte dormendo tutto il giorno.
Per spiegare l’origine del comportamento definito come hikikomori, sono state proposte ipotesi che possono essere riassunte fondamentalmente in due prese di posizione: una prevede il considerare tale condotta una patologia psichiatrica nascente, diversamente, l’altra afferma che si debba valutare la situazione effettuando un’analisi del fenomeno sotto un’ottica essenzialmente culturale. Quest’ultima posizione sembra essere quella maggiormente accreditata, essa si focalizza sui pilastri della cultura diffusa in Giappone. Un Paese costituito da una mentalità rigida e metodologica, in cui vige la figura di un padre assente a causa dei meticolosi ritmi professionali su cui la società si basa. Una comunità in cui il senso della disciplina viene impresso nel corso dell’adolescenza per proseguire in età adulta, come dimostrato attraverso una formazione scolastica incentrata sull’agonismo che determina lo sviluppo di una forma mentis carrierista.
Nonostante sia stato considerato per diverso tempo un disturbo a carattere esclusivo del Giappone, come dimostrato da ricerche successive, il ritiro sociale è un comportamento che progressivamente ha subito una divulgazione singolare anche in Occidente; ricerche contemporanee mostrano come la propagazione del fenomeno non ha risparmiato i più importanti Paesi europei quali Francia, Regno Unito, Spagna ed Italia.
Determinante, per comprendere questa tendenza volta alla ricerca della solitudine, descrivere l’epoca che si sta vivendo, la quale è imperversata come sottolineato da alcuni autori, da un continuo senso di incertezza. Una civiltà che sta attraversando un periodo in cui i confini non sono più stabili, definita per l’appunto da Bauman come società liquida, scevra di sicurezze e di limiti, in cui prevale il sensation seeking, inteso come l’incessante ricerca di emozioni forti, caratterizzato dalla pratica di sport estremi o dall’adottare uno stile di vita imprudente che può giungere fino alle forme più perniciose come l’abuso di sostanze stupefacenti per evadere dalla realtà, la partecipazione a rischiose corse clandestine o al commettere atti di vandalismo.
Ciò può determinare lo sviluppo di identità multiple che possono avere notevole proliferazione tramite l’ausilio di internet da parte dell’individuo ritirato, il quale si può ricostruire un mondo eccezionale privo di dolore, generando un allontanamento del soggetto dal suo autentico sé. La metamorfosi di una società in passato edipica basata sul Super-io, ad una fondata sull’apparenza narcisistica dell’io è parte della patogenesi del fenomeno. La condizione di hikikomori, può sopravvenire nel momento in cui le aspettative del ragazzo e giovane adulto subirebbero un tracollo a causa di un conflitto avvenuto durante il processo transizionale che caratterizza il passaggio da una condizione infantile di protezione vissuta in simbiosi con la figura materna ad una adolescenziale in cui al centro vi è il paragone con il gruppo dei pari.

È utile esporre la presentazione del disturbo narcisistico di personalità dell’ultima edizione del DSM per descrivere in maniera esauriente il grado di narcisismo che si ritrova nel soggetto hikikomori. Il DSM-5 ha illustrato il disturbo narcisistico di personalità definendo un quadro pervasivo di diversi aspetti caratteristici dell’individuo che compromettono la sua persona ed il rapporto con l’altro. I criteri diagnostici hanno stabilito che il paziente affetto da questo disturbo ha un’opinione eccelsa di sé, un vasto senso del diritto, in quanto pienamente convinto che gli altri debbano soddisfare i suoi desideri in ogni occasione, è incessantemente impegnato in fantasie di potere e successo infinito, non si fa alcuno scrupolo a sfruttare gli altri per perseguire i suoi obbiettivi, si ritiene unico, ricerca persone che siano il suo riflesso non è capace di empatizzare, è arrogante ed invidioso e per mezzo di un meccanismo di genere proiettivo è sicuro che gli altri invidino lui. Tuttavia Kohut attraverso la sua esperienza clinica ha formulato l’ipotesi che esista un’altra struttura di narcisista, detto ipervigile. Tali individui, al contrario del narcisismo inconsapevole che viene manifestato attraverso un filtro prettamente arrogante e con enorme alterigia, appaiono similmente ai depressi come vittime della vita. Tendono ad evitare tutti quei momenti di relazione sociale in cui possono venire feriti con facilità, non è concentrato in se stesso, la sua attenzione è focalizzata perlopiù sull’altro, per questo esteriormente possono dare l’idea di persone con profonda capacità di empatia. Sono altamente critiche verso gli altri, in modo affine ai soggetti che soffrono di un disturbo ossessivo compulsivo di personalità. Ma, a differenza di questi ultimi, i narcisisti ipervigili non effettuano mai una minima autocritica. La personalità narcistica tra le peculiarità in comune con gli hikikomori ha la totale egosintonia da parte del soggetto, il quale non vive questa predisposizione come un sintomo da curare, le fonti del suo disagio derivano dalle conseguenze che possono comportare la perdita dell’anno scolastico, un eventuale licenziamento e scontri fisici con tutti coloro che cerchino di farlo uscire dalla sua camera.
Il comportamento dell’hikikomori nasce pertanto come forma di ribellione nei confronti di una società narcisista ma, paradossalmente, la sua scelta subisce una trasfigurazione divenendo nient’altro che un’altra sfaccettatura di quel narcisismo che in maniera silente egli tenta di combattere con l’insieme delle forze di cui dispone. Narcisismo, quello dell’hikikomori, per alcune caratteristiche simile a quello ipervigile, che ha luogo costruendo attraverso internet delle comunità online di ritrovo e di supporto. Si va a formare in tal modo una sorta di elitarismo, determinato dall’energia che il soggetto ricava dal sostegno di altre persone in situazioni simili alla sua. Questo protegge l’hikikomori che può recuperare quell’importanza che non percepiva più in se stesso, salvandolo dalla possibilità di tentare atti suicidari che sono spesso presi in considerazione da circa il 46% del campione di chi ne soffre, ma per tale motivo il più delle volte non vengono attuati, la rete non deve essere sottoposta a demonizzazione, non va considerata come la causa del ritiro della persona, in quanto ciò aumenta il rischio di suicidio e di psicosi, perché mantenere in qualche modo un contatto con il mondo esterno può proteggere l’individuo dall’incorrere in un disturbo schizofrenico.

Nelle psicoterapie con gli adolescenti il cellulare è sempre presente, il mondo del web entra in gioco e non può essere sempre e solo demonizzato, ma va accettato come evoluzione della società cercando di attribuirgli un senso nel percorso evolutivo degli adolescenti e dei giovani adulti.
L’uso delle tecnologie può essere una via per evitare di pensare, ma tali mondi possono anche costituire un sostegno per l’appropriazione delle esperienze soggettive. Permettono agli adolescenti di dare una forma visibile alle loro inquietudini, di proiettarsi in un avvenire che li angoscia e di imparare a occuparsi di loro stessi, tutto ciò grazie agli avatar che manipolano.
Spesso gli adolescenti si trovano tra il mondo reale e il mondo virtuale e dato che è difficile parlare del primo e utile invitarli a parlare del secondo. Anche questo può rientrare nel processo di soggettivazione. Abraham lo ha definito “introiezione sostenuta da un terzo”.
La soggettivazione può passare attraverso una relazione con un altro essere umano, ma anche attraverso la lettura di un libro o la visione di un film, persino attraverso una relazione con un animale o un oggetto (Tisseron,1999).
In effetti l’essere umano è costantemente spinto a simbolizzare (la sua identità, il suo ruolo nella successione delle generazioni, i suoi desideri), ma può riuscirci solo attraverso gli scambi con gli altri. Tutto ciò che gli impedisce di farlo, ne minaccia invece la costruzione, a cominciare dall’assenza di un interlocutore che possa accompagnare le sue diverse esperienze del mondo.
Anche i videogame possono diventare forme di mediazione terapeutica; il loro grandissimo potere di suscitare emozioni, sensazioni e rappresentazioni personali, li rende uno strumento privilegiato per la strada della soggettivazione; la messa in scena di immagini di sé e di fantasmi attraverso la costruzione di personaggi, rappresentano l’adolescente sullo schermo; infine la loro costituzione a sostegno del racconto permettono che tali giochi possano essere utilizzati come intermediari tra il modo di pensare per immagini.
Anche nel caso degli Hikikomori le tecnologie posso essere utili. Spesso questi ragazzi non hanno accesso alla psicoterapia proprio per la loro difficoltà ad uscire di casa, ed è per questo che diverse ricerche mostrano l’utilità di poter cominciare un percorso attraverso Skype, un percorso che poi va continuato nella stanza della terapia.